Pagina:Guerrazzi - Il secolo che muore II.djvu/7

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capitolo x. 9


la sua vita mortale, ma la fama della sua virtù durerà, finchè si trovi una bocca per magnificarla ed un cuore per benedirla.

Pregusti pertanto, egli mortale, la immortalità: esulti nell’altissima gioia di aver vinto la morte; dacchè da questo premio in fuori altro non gliene diedero gli uomini, nè egli lo avrebbe voluto.

Però insieme col Garibaldi una schiera di generosi si affaticò in altra guisa per le fortune della patria: operò meno con le armi, più col consiglio: più parca gloria acquistava, forse veruna, ma durò pari i patimenti, e a paragone di lui concorse al risorgimento dell’Italia.

Molti anni si sono accumulati sul capo di questi incliti cittadini; la loro vita non vediamo arrivata presso al verde, sicchè importa per tutti che noi la liquidiamo, senza ambagi, prima di depositarla, a mo’ di bilancio, nella cancelleria della morte.

Repubblicani tutti fummo e siamo. Educazione, genio, carità patria e necessità ci fecero tali, ed anco, mirabile a dirsi, i frati, i quali insegnandoci a leggere il latino sopra Tacito, e il greco sopra Tucidide, credevano mostrarceli come mummie di Egitto, mentre essi accendevano nel nostro cuore inestinguibile l’amore per la repubblica. Come Sansone cavò il miele dalla gola del leone, la schietta tirannide ci fu maestra di libertà; imperciocchè in verità vi dico ch’è più sana la tirannide netta,