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capitolo xvii. | 115 |
onestà come dai Galeotti di Francia.1 Non indico nomi, non contrasto l’ingegno, ne la leggiadria del dettato; ma quanto più questi ammirabili, tanto maggiormente colpevoli di avere cagionato la decadenza delle virtù cittadine.
E’ pare che di siffatte disposizioni della figliuola Vinneri si fosse accorto, e almeno ne sospettasse, perchè seco stesso fermò levarsela ad ogni costo d’intorno; di vero, invece di avere per la morte della moglie ricuperata intera la sua libertà, si trovò ad averla perduta, sentendo la necessità di vigilare con diligenza la fanciulla; già s’intende non per amore a lei, nè per istudio di onestà, bensì in virtù di questo ragionamento: poichè dote io non le posso assegnare, mi tocca ingegnarmi a pescarle un marito al brumeggio della bellezza e della buona reputazione: maritata che sia, io me ne lavo le mani; chi la cavalca la selli.... — Insomma, il credito della figliuola gli stava a cuore, come a cui torna di mezza notte a casa preme che il moccolo gli duri acceso per le scale fino alla porta.
Rapito alle geniali abitudini del giuoco, il presidente Vinneri si rendeva a casa sul calare del giorno, e quivi, avvoltolata la persona nella vesta da camera, i piedi nelle pantofole e il capo coperto dal berretto di cotone — elmo dei mariti militanti — al-
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Galeotto fu il libro e chi lo scrisse.
V. Commentatori a questo verso di Dante.