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Pagina:Guerrazzi - Il secolo che muore III.djvu/310

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308 il secolo che muore


non lo avrebbe potuto fare liberamente a cagione... e qui chinò la faccia suffusa di rossore, aggiungendo a voce bassa, quasi paurosa che altri la sentisse, — a cagione di un uomo che la vigilava. Il prete mangiò, o piuttosto credè mangiare la foglia per aria, e nel presagio che Dio non si sarebbe rimasto a quell’unica mandata di manna, si affrettò rispondere:

— Padrona, padronissima, favorisca in sagrestia che troverà l’occorrente.

Amina, condottasi là dove la menò il prete, si mise a scrivere, empiendo presto presto ben quattro pagine di carta; piegò, sigillò diligentemente e si raccomandò al curato, affinchè portasse subito la lettera alla posta e l’assicurasse. — Magari! disse il prete, disposto sempre ai comandi di vostra signoria illustrissima, — e si separarono. Il curato, avviandosi con celeri passi all’ufficio postale, lesse nella sopraccarta: Alla nobile donna la signora marchesa Elvira M. nata S., Via S. Carlo, n. 12. (Urgentissima). — Eh! eh! lo aveva detto io, qui gatta ci cova. — E mentre sprofondato in cotesto pensiero non bada dove pone il piede, ecco investe l’accattona solita a mettersi accoccolata di fianco alla porta di chiesa, cagionandole una sconcia stincatura:

— Corvaccio! strillò costei, tu possa andare allo inferno prima di sera.