Pagina:Guerrazzi - Il secolo che muore IV.djvu/363

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capitolo xxiv. 365


rava innanzi, procurando che nulla mancasse alla Eufrosina, quanto a sè governandosi tanto sottilmente, ch’era una pietà.

E questo non era mica il peggio, che l’angoscia da non potersi dire gliela dava la impazienza febbrile sua e della Eufrosina, di aspettare ogni giorno nuova dei cari diletti, e giungere a sera con la speranza sempre delusa. Cotesto davvero era spasimo, che trapassava il cuore delle due donne come una spada, ma più lacerante quello della Isabella, però che a lei toccasse dissimulare il proprio affanno per lenire quello di Eufrosina; alla quale non rifiniva mai dichiarare non essere poi tanto il tempo decorso dalle ultime notizie.

— Come non tanto! interrompeva l’appassionata Eufrosina, — oggi compiono per lo appunto tre mesi.

— No davvero, rimbeccava Isabella, o la notizia ultimissima non la conti?

— Io? Io conto quello che ci portò la posta.

— No, figlia, tu hai a contare da quella che ci portò il cuore. L’amore, a gara di prestezza, si lascia indietro anche la luce, e in un baleno trasporta uno dall’Indo al Polo.

— Sì, è vero, questo mi ricordo aver letto prima ch’io diventassi cieca nelle lettere di Abelardo e di Eloisa; ma adesso a tutte queste belle cose preferisco la posta del Barbavara.