Pagina:Guerrazzi - L'asino, 1858, I.djvu/29

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tere di palpebra mi scaraventasse indietro per tre quarti di miglio, ed io in meno, che si dice amen, io mi rinvenni di nuovo in mezzo ai miei confratelli trasecolati di vedermi sì presto e in quella strana guisa restituito fra loro.

I morti attaccati pei rami dei finocchi in vari atteggiamenti, come le scimmie su per gli alberi di Guzzurrate, appuntarono il volto verso di me domandando alla rinfusa:

— Che ci è egli, fratello? Fratello, raccontaci quello che udisti, e quell’altro che vedesti? Quanti morti e quanti feriti?

— Onorevoli miei colleghi putrefatti, io vi faccio innanzi tutto assapere come questi, che a voi paiono finocchi, altrimenti finocchi non sieno, bensì capelli. Questa selva non è selva, bensì capo di Gigante, e certamente di quelli che nacquero dagli angioli, e dalle figliuole degli uomini quando le videro belle6, e poveracci! se ne innamorarono. Dio, come voi altri sapete, reputando il mondo insudiciato per via di coteste razze plebee, si scorucciò di buono, e lo mise per quaranta giorni in molle col diluvio universale. Certo voi potreste osservare, che se