nè a Telefane di marangone, nè a Poro ch’emulo fu del magno Alessandro di barbiere, ad Ottagora di cuoco, a Tiridate di granataio, ad Olinomo di ortolano, a Tarquinio di mercante, a Varrone di beccaio, a Caio Mario, a Vespasiano e a Francesco Sforza di bifolco, a Pizzarro e a Sisto V di porcaio, comecchè per questo ultimo alcuni lo contrastassero invano. Gifford e De Varinge furono ciabattini, l’ammiraglio Hapson sarto, Brundley mugnaio, Lafitte garzone di cassiere, Oberkampit fu mandato via da Munster a calci nel postione, e se di tutti volessi dire andrei più in là delle litanie dei santi. Ottimamente però adoperava Temistocle quando palesandosi senza tanti misteri bastardo vantò incominciare la nobiltà propria da se, mentre finiva quella di casa sua in colui, che gli rinfacciava la bastardigia. E sopra le altre meritevole di molta lode parmi la legge di quel despoto del Mogol (stirpe di Tamerlano, che incominciò pastore), in virtù della quale quegli che o per sufficienza propria o per regio benefizio era stato promosso a gradi supremi doveva portare sul turbante la insegna dell’arte da lui prima o dai maggiori suoi esercitata, onde per quanto si distendeva l’impero ampio dell’India ti capitavano davanti Satrapi cui facevano nome o la lesina o le forbici o il pennato; e questa nobiltà mi parve, come nel vero ell’era, più onorevole assai dell’al-