Pagina:Guerrazzi - L'asino, 1858, III.djvu/137

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anco reo della strage materna, aspettò il ritorno della fantesca per contarle le sue ragioni ed ottenerne vendetta. Ma che! Venne la Caterina e, impugnato il trinciante, incise il collo della defunta e ficcando le impronte dita per l’apertura estrasse il ventricolo e lo diede al Gatto, le sparò quindi utero e seno e cavatone fuori le palpitanti viscere, parte di esse serbò su la tafferia e parte da capo ne buttava al Gatto che aggrappato su per la gonnella di lei ne faceva, miagolando, urgentissima istanza. La rea femmina per maggiore strazio la trafisse allora di ben cento ferite, e nelle aperte margini ficcò tasselli di prosciutto e frondicelle di rosmarino. In quel punto parve all’orfana derelitta di scuoprire il mistero della scelleraggine: certo la fantesca astiosa della parzialità che il priore dimostrava per l’Oca aveva, daccordo cogli altri animali domestici, congiurato a perpetrare il misfatto. La cupidità che immensa in cotesto punto la invase di vendicare i mani materni le tennero unita al petto l’anima che già partiva, e innanzi di abbandonare questa terra, dove la colpa semina e la morte raccoglie, volle attendere tanto che il priore tornasse, e così cogli occhi suoi sincerarsi quale mente sarebbe stata la sua nel contemplare il caso nefando. Venne il priore, ma spogliati a mezzo i sacri arredi, recasi in cucina e, dato di piglio ad uno spiedo, trapassa l’Oca già sua