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312 Brani di vita


Tutto questo a voi non importa, ma importa molto a me, perchè quei sessanta chilometri pedalati solo per comprare alcune pipe di coccio, furono tra i più lieti e fortunati chilometri che abbiano posto nei miei ricordi.

Da Bassano a Padova la via eccellente è in lenta discesa e un venticello benigno mi aiutava. Io mi trovavo in quella felice disposizione d’animo che i fisiologi chiamano euforìa e che fa parere tutto bello, tutto lieto e beato, di un ottimismo da vincere il dottor Pangloss, buon’anima sua, e le vendemmiatrici cantavano nei campi, quasi per ricordarmi le vendemmiatrici della mia infanzia. Ahimè, dove saranno?

E rivivevo con delizia quei giorni lontani, cercando con occhio memore il melo dalle frutta acide, quando a Limena mi accorsi che la brisiola del Cardellino non era più che una santa memoria anche lei. Avevo appetito e (beata libertà della bicicletta!) mi fermai alla prima osteria.

Sotto ad un gran portico, dove erano molti barrocci, mi accolse una magnifica ragazza che mi condusse ad un pergolato, mi servì uno spuntino sopra una tavola rustica e mi interrogò, curiosa de’ fatti miei, per abitudine professionale. Ritta davanti a me, puntava sulla tavola un braccio nudo fino quasi all’ascella, un braccio un po’ morso dal sole, ma degno di animare i moncherini della Venere di Milo. Il pergolato, l’odore caldo del mosto, i canti, mi ricordavano il passato; e quel braccio nudo, con una fossetta insolente al gomito, mi pareva uno di quelli