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L’ultimo amore 27

Bisogna infatti sapere che in quel tempo alcuni, anche ne’ giornali, si occupavano dei fatti miei, dicendo che stampavo delle cosacce immorali.

Quando sedetti, benchè fossi preparato, un certo non so che rassomigliante alla tremarella, l’avevo. Mi sentivo dentro quell’angoscia di sospensione che debbono provare gli autori comici prima che si alzi la tela ad una prima recita. Però fu un momento. Teneva sempre gli occhioni chinati, ma ci vedeva lo stesso, poichè sedendomi feci l’atto di un rispettoso saluto ed ella lo contraccambiò, sempre senza guardarmi, ma con un impercettibile ghignetto che pareva dire: — Maschera, ti conosco!

Uscendo dall’ombra della stazione, un raggio di sole, uno di quei raggi gialli dentro ai quali turbina la polvere, proruppe dallo sportello, e le si stese sulle ginocchia e scese giù sino al tappeto. Seguii coll’occhio le linee scultorie disegnate dal sole intelligente, giù giù, sino ai piedi, ai piedini chiusi in uno scarpino scollato che lasciava vedere la calza di seta grigia. Ella non mi guardava mai, eppure i piedini, sorpresi in flagrante, si ritirarono subito sotto le gonnelle come ragazze adocchiate che scappano dalla finestra. Benedette donne, come fate a vederci senza guardare?

La guardai io, perchè la ritirata de’ piedini mi fece supporre in lei qualche cambiamento di fisonomia. Nemmeno per sogno! Era calma e bella come una statua di vestale. Solo, ma fu un lampo, alzò le lunghe ciglia e le riabbassò subito. La mia faccia doveva parere una pagina di lirica seicentistica, tanto