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378 Brani di vita

vero, ma che Monsignore m’interdice di provare, benchè lo potessi provare, e che, al postutto, anche dopo la prova, non offenderebbero, almeno per quel ch’io scrissi, l’onor suo di privato o di pubblico funzionario.

Perchè, intendiamoci bene; dico per quel che io scrissi. Il Pretore di qui, mi citò con mandato di comparizione, mi mostrò il numero incriminato del “Lamone” e mi contestò l’accusa. Prima che egli assumesse il mio interrogatorio, come a privata e cortese persona che egli è, dissi che non era io l’uomo da negare la mia firma anche sotto il velo più o meno trasparente di un pseudonimo; ma che, ignorando se e come la mia deposizione avesse potuto influire sulla posizione giuridica dei miei coimputati, da me nemmen conosciuti, mi valevo del diritto di riservarmi a rispondere all’udienza. E dettai (cito a memoria) queste parole:

“Do atto alla S. V. della imputazione che mi contesta e me ne dichiaro edotto.

Con lieta sorpresa veggo Mons. Vescovo di Faenza riconoscere ed accettare l’autorità del Tribunale che rende giustizia in nome di S. M. Umberto I, regnante in Roma, Capitale d’Italia.

Tuttavia per ora e con ogni rispetto, dichiaro di riservarmi a rispondere soltanto in udienza dove Monsignore, se veramente è geloso custode dell’onor suo, non mancherà di pagar di persona trovandosi presente. Ivi risponderò a Lui, faccia a faccia, sulla