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Per un sonetto 375

imputazione che mi si contesta. Ha grattato la pancia alla cicala e la cicala, non dubiti, canterà.

D. Interrogato più precisamente se sia autore di un sonetto ecc. ecc. e firmato Argia Sbolenfi suo noto pseudonimo?

R. Per ora non rispondo nè sì, nè no. Ripeto rispettosamente che mi riservo di rispondere in udienza”.

Ella ben vede, Onorando Signore, che la riserva era quasi una confessione, ma era doverosa in quel primo stadio dell’istruttoria. Tuttavia ora e prima d’ora, ho sciolto la riserva e accetto per mio il sonetto incriminato e le responsabilità che me ne possono derivare. Non sono di quelli che vibrano il colpo e nascondono la mano sotto una toga, restando a casa e negando le prove. Eccomi in faccia ai Giudici e in faccia al pubblico, a fronte alta; lealmente, senza appiattarmi dietro un articolo del Codice di Procedura. Non poteva io negare? Chi avrebbe provato che quei versi, firmati con un pseudonimo usato anche da altri, erano veramente miei? Ma le vie coperte, le comode ambagi del diritto, il prudente nascondiglio di dove si può offendere senza essere offesi, non sono per me, nè per i galantuomini che rispondono apertamente del fatto loro. Me, me adsum qui feci!

Ma, ripeto, intendiamoci bene. Intendo di rispondere e rispondo del sonetto che Le dissi e di cui parlerò e non d’altro. Non già che io condanni il resto che si leggeva in quel numero del “Lamone” o disapprovi la resistenza che quell’ardito giorna-