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L’imitazione e Giacomo Leopardi 419

pur troppo questi riscaldi di cervello) intinge la penna nel calamaio e rimane sospeso pensando, non già a quello che vuol dire, ma se imiterà lo stile di Caio o di Tizio, se sarà verista o idealista, se scriverà in lingua classica o in lingua parlata. Così di mille volumi di versi che sbocciano tutti gli anni in questo giardino del mondo, novecento novantanove appartengono a quel che si dice una scuola; vale a dire che gli autori cercano di travestirsi, di sformarsi tanto da rassomigliare alla meglio ad uno di quegli infelici che ebbero la maledizione d’esser unti ed incoronati capi di scuola. In questa faceta repubblica delle lettere ognuno vorrebbe avere la fisonomia del suo vicino, proprio come nel facetissimo regno della moda una volta volevano tutti rassomigliare a Vittorio Emanuele portando i baffi come lui, anche quando sformavano la fisonomia. Ora sono di moda i baffi di Guglielmo. Ci sono poi certi critici stravaganti che compiono la confusione delle lingue e dei cervelli lodando queste rassomiglianze artificiali. Li sentirete dire: Bel bozzetto! potrebbe firmarlo De Amicis! Lodi sbagliate, scelleratamente sbagliate, poichè equivalgono a dire che l’autore contraffece perfettamente De Amicis. Ma secondo questa critica i cento copiatori della Madonna della Seggiola sarebbero artisti squisiti, le imitazioni varrebbero quanto gli originali! Gli artisti finirebbero a fare come gli operai di Norimberga, che dopo aver fatto un bel soldatino di piombo ne fanno centomila compagni.

È vero, però, che in fatto di originalità qualche cosa si è guadagnato, almeno dalla parte del pub-