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il cuore malato | 109 |
deva, come di una ingiusta superbia, se ne sdegnava come di un affronto.
Perciò il suo compito le diveniva ora anche più difficile ed ella cercava in cuor suo inutilmente la forza e l’abilità di non mancarvi. I loro rapporti posti la sera innanzi su di un rigido tono di ossequiosa convenienza non potevano mutare da un giorno all’altro ed occorreva giungere per lenti gradi dal rispetto alla confidenza e dalla confidenza alla tenerezza.
E come avrebbe ella trovato la calma di nervi e la lucidità di spirito necessari a raggiungere questo intento?
Ella se lo chiedeva, scoraggiata, mentre disponeva nei vasi le rose che non aveva osato offrire a don Eusebio e, d’improvviso, il ricordo di un mazzo di rose rosse simile a questo le piombò sul petto come una pietra. Le rose che Luigi aveva sparso dovunque sui mobili, sui tappeti e sul letto il giorno del loro primo incontro, il giorno del loro primo abbandono avevano il colore e l’odore di queste, il colore disfatto e l’odore molle delle rose d’autunno. Ed era trascorso un anno ed egli era lontano, ed ella lo amava ancora senza speranza.
S’avvide di stringere nervosamente quei fiori fra le sue dita come per farli soffrire con lei e poichè don Eusebio entrava in quel momento sorridendo coi suoi denti giallognoli,