Pagina:Guglielminetti - Anime allo specchio, Milano, Treves, 1919.djvu/132

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122 come un’ombra

ziato con quelle parole la sua più commossa difesa, la sua più efficace giustificazione. E non osai tentare altre domande.

Ma l’uomo aveva rialzato la fronte con un sorriso convulso che gli torceva la bocca ed appoggiato alla parete con le braccia conserte sul petto scuoteva il capo lentamente come commiserando sè stesso.

— Ella aveva vent’anni quando ci sposammo, — raccontò a bassa voce guardando tratto tratto a fronte corrugata la corona di lampadine che pendeva dal soffitto, come se tutta quella luce diffusa sul suo segreto dolore l’offendesse. — Ci sposammo a Nizza un principio d’inverno e restammo insieme due mesi. Un giorno mentre ella si trovava a Montecarlo con sua zia, mi capitò in casa un’antica amica che io avevo lasciato poco prima del matrimonio. Era disperata e furente, minacciava d’uccidersi e di fare uno scandalo se io l’abbandonavo. Per amore di pace cercai di placarla e durante una settimana mi recai di nascosto ogni giorno da lei, così come si va a trovare un ammalato e ci si sottomette ad ogni suo capriccio, pur di dargli un momento di quiete e d’illusione. Mia moglie, avvertita certo da qualcuno, mi spiò e venne una sera a sorprendermi nella casa stessa di quella donna. Ella fu implacabile; non ascoltò ragioni, non concesse perdoni, non volle rimettere piede in