Pagina:Guglielminetti - Anime allo specchio, Milano, Treves, 1919.djvu/338

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328 il nome

Egli godeva allora il suo quarto d’ora di celebrità e i suoi sei mesi di riposo prima di rimettersi nuovamente in viaggio e si circondava di pochi amici antichi e fidati che raccoglieva quasi ogni sera alla sua tavola in quel villino presso il Po, il quale era una meraviglia di architettura e di arredo orientale.

Vi si sentiva entrandovi quello che d’Annunzio chiamò «l’odore indefinibile del Sud» e pareva la dimora di un sultano o di un rajah europeizzati e raffinati, ma di un rajah o di un sultano che avessero bandito dal loro regno le donne e tutte le loro tentazioni.

Perchè Mario Scotti era e si confessava misogino. Troppo intelligente per illudersi di poter essere amato per altro che per le sue ricchezze e la sua notorietà e troppo orgoglioso per accettare una forma d’interessamento così poco lusinghiera per il suo infelice io fisico, s’era chiuso in una serena rinunzia ormai fatta d’abitudine la quale gli permetteva di commentare scetticamente le passioni degli amici e di consigliarli all’uopo con un suo amabile cinismo pieno di gaiezza e di arguzia.

La sua prima ed unica delusione d’amore, subita a vent’anni, lo aveva incitato al suo primo viaggio intorno al mondo e gettato in lui il germe di quella più nobile e più rara passione che ne aveva fatto in dieci anni uno scienziato e un artista.