Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/12

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amalia guglielminetti

a lei che Arturo non sospettò mai nulla di quanto avveniva fra noi.

Ademari s’alzò di nuovo, si passò due volte la destra nei ruvidi capelli già un po’ grigi che incorniciavano duramente la sua faccia quadrata e piantandosi dinanzi a Fernanda disse:

— Un mezzo per salvare la situazione vi sarebbe, ma ha due difetti. È incerto ed è ripugnante.

— Che cosa vuoi dire?

— Voglio dire che si tratterebbe di accusare una persona che non può difendersi, di attribuire ad essa la proprietà e la responsabilità di quelle lettere che non portano indirizzo nè nome.

— E chi sarebbe questa persona?

— Tua sorella.

— Marta? Marta che mi ha voluto così bene, di cui porto ancora il lutto? Accusarla a mio marito? E come? E perchè?

— Marta ti ha voluto così bene che se fosse viva oggi si offrirebbe volontariamente per salvare te e tua figlia da un così grave pericolo. Questo è certo. D’altra parte, essa era una giovane vedova perfettamente libera e padrona di sè, e nessuna meraviglia e nessun male ch’ella ricevesse in casa sua un intimo amico.

— E dovrei dire ad Arturo che quelle lettere appartenevano a lei?

— Non c’è altro mezzo se vuoi tentare una

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