Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/126

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amalia guglielminetti

dermelo vicino, non posso più amarlo, bisogna ch’io lo lasci.

— Ch’è graziosa questa tua feroce brutalità americana!— rise a denti stretti Emo. E asciugò la fronte col fazzoletto ad orli azzurri che usciva dal taschino del suo pijama. Poi scoppiò a ridere e con una certa disinvoltura proseguì:

— L’affare è presto liquidato, cara. Dimmi soltanto se partirai tu o se partirò io.

Lady Simpson s’era di nuovo seduta a piè del letto, sul quale aveva posato il piccolo cappello duro da amazzone che andava picchiando ritmicamente col suo frustino.

— Ho incontrato qui sotto nell’hall mio cugino William Shepherd e gli ho parlato di te.

— Che c’entra tuo cugino? Ha forse una figliuola da marito?

— Aoh! — rise Zoia a gran voce. — Non ha neppure moglie. Ma ha invece a Boston parecchie fabbriche di latte condensato che gli rendono ogni anno non so più quanti milioni. È venuto in Italia per cercare degli agenti di pubblicità. Gli ho detto che tu conosci abbastanza bene l’inglese e gli ho proposto di... come si dice? Di scritturarti.

— Difatti è una bella parte, — mormorò Emo fra i denti.

— Non tanto bella, ma utile, — ribattè l’americana senza comprendere l’ironia. — In pochi

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