Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/130

Da Wikisource.


amalia guglielminetti

gorìo di capelli d’oro e di denti bianchi, una voce dal timbro un po’ maschio e un po’ fanciullesco che gli gettava in faccia con una grazia bizzarra parole brutalmente franche.

Ne sorrideva ora, come si sorride al ricordo della benefica sgridata materna che ci trasse singhiozzi disperati quando eravamo bambini, ma che pure ottenne più tardi il suo effetto.

Doveva riconoscere ch’era stata per lui una deliziosa amica, così tipica, così caratteristica in quella sua esuberanza di vitalità che si manifestava ora sotto l’aspetto piacevole dell’amore ad oltranza, ora sotto quello ansimante dell’instabilità continua, e che lo incitava come un liquore afrodisiaco o come un colpo di staffile.

Emo Siniscalchi gettò in mare la sigaretta che gli si era spenta fra le labbra e si volse per rimettersi a passeggiare e per sottrarsi a quell’ondata calda e inebriante di ricordi.

Alcune viaggiatrici facevano già disporre le sedie a sdraio per allungarvisi a prendere il thè e a lasciarsi corteggiare, come su una spiaggia di bagni alla moda o sulla terrazza di un albergo galleggiante.

Egli le passò in rivista con uno sguardo distratto e notò che nessuna gli pareva molto bella o eccessivamente elegante. Stava dirigendosi alla sala di lettura quando un’esclamazione, di colpo, lo fermò.

128 -