Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/177

Da Wikisource.



come guarì luciana vannelli

la sua maestosa persona di sete e di velluti, di ori e di piume, durante le sue rare apparizioni in quel villaggio che l’aveva veduta passare oltre un quarto di secolo innanzi, fresca villanella, in un abituccio di cotone.

Raramente Luciana l’accompagnava. Ella preferiva le sue corse lungo i sentieri ombrosi e silenti della campagna solitaria, dove cantavano con timida voce acque trasparenti su letti di pietruzze azzurre, tra un dondolìo lieve di salici argentini, che mutavano di colore ad ogni mutar di vento.

Un giorno, verso il tramonto, dopo il lento errare di tutto il pomeriggio, s’era trovata in una radura quasi fosca di cupo verde, fra una corona di vecchi abeti, dove cadeva in rovina un muricciuolo mezzo diroccato, avanzo di una antica abitazione di pastori, sul quale si arrampicava un viluppo aguzzo di rovi, lanciati quindi in volute bizzarre a sostenere lunghi grappoli neri di more giunte a perfetta maturità.

Ella si guardò intorno, sorpresa dell’incanto patetico e pagano di quel lembo di selva che faceva pensare a driadi ed a sileni in agguato dietro la verde rovina, ma subito si scosse sorridendo, attratta dalla pendula lucentezza dei frutti maturi, e spiccò alcuni salti col braccio proteso, senza tuttavia raggiungerli.

— È troppo piccina — disse una voce

- 175