Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/181

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come guarì luciana vannelli

caccia anch’io. Lei m’insegnerà a maneggiarlo. Poichè esiste fra di noi un certo legame di parentela, è ben giusto che io ne approfitti, — ella continuò, sempre ridendo con tono di spavalderia alquanto arrogante, cacciandosi le mani nelle tasche esterne del suo golf di seta verde, ed inarcando avanti il busto sottile in una posa di leggiadra provocazione.

— Oh, no, signorina, — la pregò il giovine con un umile ardore. — Le sue spalle sono troppo delicate per portare un fucile. Lasci queste cose agli uomini. È vero che lei ha studiato e ne sa più d’un uomo, ma ha ancora l’aspetto di una bambina.

Luciana irruppe in una risata, e crollò quelle spalle che egli riteneva così delicate, affermando con un gaio disdegno:

— Lo studio non giova a nulla. Serve soltanto a rattristarci l’anima e ad indebolirci il corpo.

Egli aveva intanto raccolto dal suolo il fucile, gettandoselo sul dorso con un’abile spinta del braccio, e l’ascoltava senza guardarla, tirando e accartocciando le orecchie al cane che si strofinava incontro alle sue ginocchia. E la giovinetta lo osservava con una improvvisa serietà, tenendosi con le due mani le falde del largo cappello di paglia adorno di margherite, e piegandole in un arco di ombra sotto il quale appariva, graziosa-

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