Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/190

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amalia guglielminetti

e fissò lo sguardo fosco lontano, oltre la finestra spalancata, con una espressione di così selvaggia violenza che Luciana ne rabbrividì. Ma subito egli addolcì il suo volto di un sorriso un poco incerto mormorando:

— Io devo averle detto molte sciocchezze quel giorno nel bosco. Vorrei che le avesse dimenticate.

Alludeva agli accenni sulla loro lontana parentela che certo le erano sembrati un pretesto ed un appiglio per entrare in confidenza con la sua famiglia e con lei.

— Io mi ricordo soltanto d’aver divorato un mucchio di bellissime more, — ella rispose con gaiezza, e poichè sul volto d’Arrigo si diffondeva ancora l’espressione corrucciata di prima, ella lo ammonì, di nuovo alquanto pungente:

— Perchè riprende quell’aria tenebrosa? È molto più bello quando ride.

— E giusto che una signorina come lei si pigli gioco di un ignorante come me, — affermò egli ancora più cupo, quasi offeso da quelle blande parole che parevano schernirlo.

Avvezzo alla rozza e schietta naturalezza delle femmine agresti, egli non conosceva i sottili armeggii delle donne raffinatamente ambigue che fingono di mordere quando vorrebbero baciare, e si scrollava di dosso con una fiera ruvidezza le amabilità un poco beffarde che non capiva e che

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