Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/203

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come guarì luciana vannelli

casa, disparvero a poco a poco tutte le luci. Nella camera di sua madre il riflesso di una lampada accesa durò più a lungo, e si spense nel punto in cui l’orologio a pendolo suonò le undici e mezzo.

L’incontro con Arrigo sulla strada maestra era fissato per la mezzanotte, e Luciana già tutta pronta, vestita di scuro, calzata di sandali, con un piccolo cappello e un fitto velo sul volto, in piedi, al buio presso la piccola porta socchiusa, attese quel momento, stringendo i denti che le battevano febbrilmente, torcendosi le mani per frenare la sconvolgente ansia che la dominava.

Udì suonare le undici e tre quarti, ma non potendo più durare in quello stato d’angoscia, afferrò la valigetta ed uscì sulla veranda col passo silenzioso dei suoi sandali.

La porta in fondo alla scala s’aperse ad una lieve spinta senza cigolìo, ma il cane di guardia venne a lambirle le mani scodinzolando e mugolando e la seguì mentre ella scavalcava agilmente il basso muro che circondava il frutteto, percorse al suo fianco il viale fiancheggiato di meli che metteva all’uscita.

Ella discese a balzi di cerbiatta lungo il pendio tortuoso che sbucava sulla strada provinciale e senza esitare, sebbene il buio la cingesse d’ogni parte, si diresse al bivio, dove, presso la linea scura ed eguale d’una siepe, sostava un

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