Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/224

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amalia guglielminetti

tendosi a piangere in silenzio con la bocca appoggiata alla mano del moribondo.

Alcune settimane più tardi la baronessa Anna Maria Almichi, licenziata la servitù, venduto il palazzo e il suo arredo, libera da ogni legame e quasi da ogni ricordo che l’avvincesse al suo burrascoso passato d’avventuriera alla mercè del caso, scendeva con una matura cameriera nel primo albergo di una cittadina di mare molto lontana dal luogo di origine della sua fortuna e richiamava su di sè la più riguardosa attenzione per la grave dignità con cui portava il lutto vedovile e per la signorile larghezza con cui prodigava l’oro del defunto marito.

Ella cercava intanto una casa ove stabilirsi e dopo alcune guardinghe esitazioni fra varie offerte, risolveva d’acquistare una grandiosa villa detta l’Abbazia, perchè costrutta sulle rovine di un antico convento.

Le era piaciuta per la ricca severità, pel vasto parco che la circondava, per il nome austero ed anche per il buon affare che quell’acquisto rappresentava.

L’agente incaricato della vendita le disse con un mellifluo sorriso dopo ch’ella ebbe firmato il contratto che la rendeva padrona della villa:

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