Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/230

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amalia guglielminetti


Le due signore in strettissimo lutto scesero dall’automobile dinanzi ai cancelli dell’Abbazia, e mentre il domestico scaricava le valigie, esse percorsero a braccetto il viale d’ingresso sostando ad ogni passo per ammirare e per commentare. I commenti e le spiegazioni erano mormorati discretamente dalla madre, ma l’ammirazione veniva espressa con vivace gajezza in piccole grida d’esclamazione e di sorpresa dalla giovinetta la quale metteva finalmente piede in casa sua.

Tutto la meravigliava e la riempiva di gioia: la vegetazione intensa di una esuberanza secolare e i sedili ancora nuovi in terra di Signa disseminati qua e là nel folto dell’ombra. Le piaceva la piccola portiera semplice come una cella, incappucciata di caprifoglio e la rapiva d’entusiasmo la facciata della villa severa e fastosa con la doppia gradinata in marmo grigio e il massiccio lampadario in ferro battuto.

Ma quando si trovò nella sua camera si guardò intorno e vedendosi per la prima volta in tanti specchi che la riflettevano intera, da capo a piede, di fronte e di profilo, un turbamento nuovo, piacevole ed affannoso insieme l’afferrò al cuore, e le diede un palpito violento. Ebbe in quel punto la sensazione quasi paurosa della vita diversa che l’attendeva e la sua timidità

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