Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/232

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amalia guglielminetti


— Sì, mamma.

— E non parlerai che di te, di ciò che tu desideri, di ciò che speri. Mi dirai tutto quello che pensi e quello che sogni, ogni giorno, non è vero?

Le aveva circondato col braccio la vita sottile e la conduceva seco parlandole con semplicità d’accento, ma v’era nel tono della sua voce una tale commossa e quasi accorata gravità che ella medesima se ne sorprese.

Era una improvvisa voce materna piena di note contenute e profonde che saliva dalla sua più inesplorata coscienza di donna.

Una delle sue particolarità meno seducenti, forse l’unica stonatura della sua bellezza, era stata sempre, ed ella lo sapeva, lo stridore aspro della sua voce. Parecchi dei suoi amici non vi badavano, alcuni la canzonavano, ma taluno d’orecchio più sensibile non aveva potuto sopportare, per altri meno delicati godimenti, la sofferenza acuta dell’udito.

Ora ella ascoltava se stessa parlare a sua figlia con una inflessione mutata, con una cadenza quasi armoniosa di tenerezza semplice, un po’ triste, un po’ trepida, sempre sommessa e grave, quasi per un trattenuto rimpianto, per un inconfessato timore, per una soggezione confusa che Elda le ispirava.

Ed ella incominciò da quel momento a sen-

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