Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/239

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l'ombra che scende


Egli vi andò il domani alle cinque, attraversò con qualche emozione il grande giardino pieno di ricordi, sostò alquanto appresso alla grande gradinata di marmo grigio dalla quale due anni innanzi la spoglia materna era discesa, portata a braccia verso il carro mortuario.

La baronessa lo attendeva nel salotto a terreno che era stata la stanza preferita di sua madre e dove quasi nulla era mutato. Così alta, pallida, vestita di nero, col fulgore dei cappelli attenuato da una acconciatura bassa e semplice, con le mani bianche prive di anelli, adorne soltanto della fede nuziale, la voce grave, i modi cortesi e dignitosi ella gli impose subito un’ammirazione piena di riverenza.

Ma a grado a grado gli si dimostrò affabilissima e tutta indulgente di tenerezza materna nel rammentare il piccolo ma insolito avvenimento di pochi giorni innanzi, che sua figlia, ancora sconvolta dalla sorpresa, era subito corsa a narrarle.

Elda apparve in quel punto e gli porse le dita, con le gote rosee e gli occhi brillanti nell’ombra dei suoi bei capelli neri.

— Come le sarò sembrata stupida e poco cortese l’altro giorno, — si scusò ridendo con franchezza. — Avrei dovuto invitarla subito con Happy ad entrare nel giardino ed a venirvi a passeggiare quando le piace.


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