Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/253

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l'ombra che scende

tendevano entrambe con tutte le loro forze, dissimili ma egualmente intense, si spezzava, cadeva ai loro piedi in una pozzanghera fangosa e fetida.

Si disperdeva fra una risata d’odio e un singhiozzo di rabbioso rimpianto l’attesa trepida delle nozze, l’imminente dolcezza del rito che consacra l’intimità e rende l’amore indissolubile e puro. Per la figlia di un’avventuriera non rimaneva che il freddo rifugio del chiostro, o la viziosa errabonda irrequietudine della vita materna.

— Bisogna ch’io me ne vada, — impose un’ultima volta a sè stessa Anna Maria quando Jacopo le pose sott’occhio il telegramma col quale Attilio annunciava il suo arrivo per la sera del domani.

Ella lo lesse due volte con palpito sordo in fondo al petto e la bocca improvvisamente arida e dopo un momento propose con calma serena una passeggiata in barca.

Adagiata sui cuscini all’ombra della vela avendo accanto sua figlia e di fronte Jacopo che remava gagliardamente, ella si lasciò cullare in un sogno blando, in una dolcezza molle e confortatrice, ignota oramai da tanti giorni, col pensiero vago e leggero di chi si sente già staccato da quanto prima lo avvinceva e lo turbava, di chi a poco a poco già scende verso un oblìo riposante.


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