Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/45

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fedeltà

toria con le fredde e brevi parole d’assenso mandate l’ultimo giorno.

Silvio Altoviti si cacciò in tasca il telegramma e si chiese come mai avrebbe impiegato le lunghe ore che lo separavano dalla partenza, ossia dalle otto di sera. Egli aveva prudentemente annunziato tre giorni prima a sua moglie questo viaggio con relativa assenza di circa una settimana, mostrando la lettera di un amico che lo invitava a caccia nelle sue tenute; e quel piano strategico così incertamente preparato e così meravigliosamente riuscito gli dava una specie di ebbrezza, simile a quella che provano i giocatori a lungo sfortunati ad un improvviso colpo di fortuna.

Sentiva d’aver bisogno d’aria libera e di spazio, come per esalare meglio la sua felicità e di aver bisogno di moto per stancare e calmare la sua febbre di gioia. Gli pareva che non mai durante i trentotto anni della sua esistenza egli avesse provato una pienezza di vita così intensa, che non mai il certo e prossimo possesso di una donna gli fosse sembrato così divina cosa. E pensava con orgoglio e con tenerezza a quella Fernanda tanto altera la quale piegava al suo dominio la bella testa pallida che pareva intagliata nella pietra come quella di una Medusa e si cingeva di capelli neri attorti e aderenti come serpi.

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