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Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/60

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amalia guglielminetti

entrambi svernavano, ed aveva incominciato subito a scrivere per lei versi appassionati ed elegiaci ch’ella leggeva ridendo alle sue amiche mentre egli, dopo averglieli mandati palpitando e tremando, prendeva una barca e andava a sognare lontano, fra gli scogli.

Nessuno aveva mai compreso perchè quella bella creatura corteggiata da tanti adoratori avesse ceduto a poco a poco all’amore di quel giovane timido e impacciato quantunque intelligente, non ricco sebbene di nobile famiglia, e gli si fosse promessa in moglie non avendo dinnanzi a sè quell’avvenire brillante, quella fastosa esistenza che pareva attrarre maggiormente i suoi gusti e le sue inclinazioni.

— Ma come? — gli chiesi sorridendo un po’ incerta e stringendogli la mano in un meravigliato saluto quando De-Foresi mi fu vicino. — Siete proprio voi e siete proprio qui? Vi immaginavo a Roma immerso in una gloria di primavera nuziale e vi trovo a vagare con aria trasognata per i malinconici viali di Torino.

— Sono proprio io, — egli mi rispose con voce cavernosa, — e vi prego di non parlarmi più di primavere nuziali se ci tenete a conservare quella miserabile cosa che è la mia amicizia.

— Ma siete funebre, amico mio — osservai fra seria e scherzosa, — e non so se quella cosa per me preziosissima che è la nostra amicizia

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