Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/69

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l’uncino

con eleganza, che appariva per la vetrata del terrazzo semiaperta.

D’un tratto un’automobile chiusa girò l’angolo e si fermò dinanzi al portone della casa di Livia. Ne discese rapido qualcuno che non potei vedere in faccia ma che mi diede al cuore un sussulto. Non mi mossi: sentivo che qualche cosa di grave e di affannoso stava per accadere e rimanevo là, appoggiato a quella parete fredda, col petto chiuso da non so che terrore e gli occhi sollevati a quel terrazzo rotondo come ad un palcoscenico sul quale si dovesse fatalmente svolgere un dramma.

Non so quanto tempo attesi, ma so che ad un certo momento qualcuno aperse completamente la vetrata e insieme allacciati come due amanti o due sposi, la mia fidanzata e Renzo Cervara apparvero nel vano, parlandosi sul viso e guardandosi in fondo agli occhi con un sorriso di beatitudine.

Qualche cosa di oscuro come un presentimento o una sub-coscienza doveva in me essere preparato a quella sconvolgente scena, perchè io quasi non me ne sorpresi, e fu quasi senza stupore di me stesso e di ciò che deliberavo freddamente che salii le scale di quella casa, suonai a quella porta, fui introdotto da una cameriera ignara in un salotto e porgendo il mio biglietto di visita chiesi di vedere la signorina Livia.

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