Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/73

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— Spòsati e dammi un erede — consigliò a suo nipote Anselmo il vecchio conte Ciro Lucentani, invece di rispondere col solito amabile ma fermo diniego alle ripetute richieste di danaro che gli rivolgeva da qualche tempo il giovane troppo pordigo. — Spòsati, abbi un figlio ed io diverrò per te il più gentile e il più generoso di tutti gli zii.

Anselmo Lucentani s’incastrò nell’orbita il monocolo cerchiato di tartaruga e sogghignò sarcastico contraendo tutte le precoci rughe della sua faccia glabra pallida e scimmiesca di gaudente trentottenne. Quindi allargò le braccia in un gesto di rassegnato consenso.

— Sta bene — disse, e masticò nervosamente il suo sigaro con un’aria meditativa, — giungerò anche a questo per compiacerti: io, lo scapolo ultra impenitente, il giocatore, il donnaiolo, il vizioso, il nottambulo, mi rassegnerò alla parte leggermente ridicola di marito integerrimo e di padre esemplare affinchè non s’estingua con me, ultimo e indegno rampollo, la nobile razza dei Lucentani. Ma esigo una cosa sola.

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