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non conosceva ancora nè profondamente nè compiutamente la squisita persona e l’anima complicata della sua amica, che già un’avversa sorte gliela contendeva, che già le odiose esigenze della vita gliela rapivano.

— Tu sei mia. Tu m’appartieni. Devi tornare. Tornerai, — egli ripeteva da mezz’ora con un’ostinazione imbronciata e caparbia di fanciullo che la faceva sorridere. E subito dopo egli volle inginocchiarsi ai suoi piedi, supplicandola con parole d’umiltà, sollevando verso di lei il suo volto così regolare di linee e ancora un poco femmineo, dove gli occhi chiari splendevano d’appassionata speranza. — Lo sai ch’io non vivo più che per te, ch’io non ho vissuto prima di conoscerti. Perchè vuoi scacciarmi dalla tua vita, perchè vuoi dividermi da te? Se non ti è possibile di ritornare a Roma, concedimi di vederti altrove, dove tu vorrai, nella città che sceglierai tu stessa, dove ti sia più facile e meno pericoloso recarti.

Ella taceva assorta e inquieta, non sapendo se consentire alle implorazioni del giovine, incerta ella stessa se gli avesse ceduto per amore, per capriccio o per noia; per le persuasioni del suo orgoglio lusingato da quell’adorazione, o per quelle del suo egoismo di donna frivola e oziosa.