Pagina:Guicciardini, Francesco – Scritti autobiografici e rari, 1936 – BEIC 1843787.djvu/229

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oratio accusatoria 221

pace che a combattere, opporsi a tanto impeto, resistere a tanto furore, combattere con uomini armati e persone militari, lo cacciasti di piazza, ve ne facesti signori. Né dando requie a tanta ribalderia, cominciasti subito a fare trarre al palazzo; a quello palazzo nel quale consiste la maiestá di questa cittá, a quello palazzo che è armario delle legge, recettaculo di tutti e’ consigli publici, che è difesa e fondamento della libertá e gloria nostra, a quello palazzo a’ cenni del quale non soleva essere cittadino alcuno sí grande e sí superbo che non ubidissi, che non si umiliassi; alla voce del quale solevano inginocchiarsi gli uomini, tremare insino alle pietre; la riverenzia di chi farebbe inginocchiare ancora te, farebbeti tremare, se tu fussi cittadino, se pure uno uomo, non una fiera, uno monstro, se in te non fussi piú durezza che in una prieta, piú impietá che in una tigre, piú invidia che in uno Lucifero; ed el quale non ti bastò avere circundato, non averlo combattuto, che con scelerato pensiero, con effetto ancora piú scelerato, con fraude, con insidie, con tradimento cavasti dalle mani nostre.

Ricordatevi quando, ottenuto da noi di potere venire a parlarci, venne su col signor Federigo; proposeci tanti pericoli, la ruina nostra e di tutta la cittá sí manifesta: tante gente d’arme, tante artiglierie, tante fanterie; el popolo parte dissipato, parte avere preso le arme per e’ Medici; empiè falsamente ogni cosa di minacci e di terrore; el volto era tutto ardente, gli occhi pieni di arroganzia, le parole piene di furore, lo spirito tutto fiamma e tutto fuoco; credavamo fussi la pietá della cittá, el desiderio di liberarci dal pericolo; pensavamo si ricordassi di essere fiorentino, fussi conforme di animo a’ fratelli, a’ cognati, a tanti parenti, a tutta la nobilitá della cittá che era quivi. Avevamogli, doppo el tumulto levato, scritte lettere pregandolo che venissi a soccorrere la sua patria, che menassi alla salute nostra gli eserciti pagati da noi; non sapevamo che sotto questa effigie di uomo fussi tanta malignitá, tanto veneno; credevamo che in questo corpo fussi una anima, non uno spirito di diavolo. Credemo non al signor