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224 oratio accusatoria

Federigo, quale sapevamo che era forestiere, e che non amando la patria sua non poteva amare la nostra; a te credemo, a te prestamo fede, credemo alle tue belle parole, a’ tuoi giuramenti. Tu ci persuadesti che fussino e’ pericoli dove non erano; che gli apparati fussino grandi, che erano piccoli; che el popolo fussi spento e rivoltato, che non aspettava altro che la notte giá vicina per tornare alla salute nostra; tanto che sotto quelle fede che sai quanto ci furono osservate, ci inducesti a lasciare el Palazzo, a rimettere el collo sotto el giogo, a desperare in perpetuo, se Dio miracolosamente non ci avessi soccorso, della nostra libertá. Questa fu tutta tua opera, queste sono le egregie pruove che tu hai fatto in questa guerra; questo el trionfo che tu n’hai cavato, orribile inimico della tua patria, la quale non ti può perdonare tanta atrocitá, né te la perdonerebbe tuo padre se fussi vivo.

E si disputa ancora se tu se’ amico del tiranno? Sono cose cosí chiare che non conviene se ne dica piú; per tutti e’ segni, per tutte le opere ed azione tue si scorge la immoderata ambizione. È piú chiaro che el sole, che impossibile è che tu ti quieti sotto la vita privata, che tu non desideri tornare a quella grandezza che tu hai perduta, e che per conseguirla non è cosa di sorte alcuna che tu non tentassi. E certo questo appetito tuo mi darebbe poca molestia se io vedessi che ti potessi succedere sanza el ritorno de’ Medici in Firenze; perché come disse Neri di Gino al conte di Poppi, quando feciono al ponte d’Arno la capitulazione per la quale lui si uscí dal suo stato, io vorrei che tu fussi uno signore grande ma nella Magna. E’ tuoi guadagni, la tua riputazione, queste tue prosopopeie, che tu fussi signore nonché presidente di Romagna, che tu consigliassi e governassi tutti e’ papi che sono e che saranno, a me darebbe poca molestia, pure che tu potessi ottenerlo sanza la nostra servitú. Ma né papa Clemente può piú essere grande né ricuperare el dominio che aveva la Chiesa, che è conquassato e lacerato come voi vedete, se non ritorna nello stato di Firenze, se non può fare le guerre co’ nostri danari; e quando pure potessi avere quello