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libro secondo - capitolo xii 51


nari. Chi adunche interpreterrá quella sentenzia secondo el senso di chi la disse e secondo che communemente è intesa, non se ne maraviglierá, né la dannerá in modo alcuno.

CAPITOLO XII

[S’egli è meglio, temendo di essere assaltato, inferire o aspettare la guerra.]

Se nel presente Discorso si trovano esempli assai nell’una e l’altra opinione, ci sono anche ragione assai che fanno el caso sí dubio, che non è di facile resoluzione, ed a volerlo bene deliberare ha bisogno di molte considerazione che sono state pretermesse dallo autore. Perché non basta sola quella distinzione: o io ho e’ sudditi armati o e’ sono disarmati; ma è necessario pensare piú oltre: o e’ popoli miei sono fedeli o e’ sono inclinati alle ribellione; o le terre sono forte o le sono debole; o io posso, ancora che io abbia la guerra in casa che mi consumi le entrate, in quanto al danaio sostenerla lungamente, o io non potrei reggerla. S’ha ancora a considerare le condizione dello inimico, cioè che milizia ha, che paesi, che entrate, che modo a sostenere la guerra in casa, che modo a farla fuora di casa; perché el governo e tutte le azione della guerra s’hanno sempre a regolare secondo le qualitá e progressi dello inimico. È ancora differenzia, quando io aspetto guerra da altri, el dire: io la porto a casa sua; el dire: io esco del mio paese e rincontro lo inimico fuori del paese suo (e questo è lo esemplo del re Ferrando). È differenzia el dire: io comincio la guerra in sul suo innanzi che lui l’abbia cominciata a me; a dire: io ho giá la guerra in casa, ma per constrignere lo inimico a partirsene io la comincio anche in sul suo; come fe’ Scipione quando Annibale era in Italia, come fece Agatocle assediato da’ cartaginesi, come e’ fiorentini tante volte nelle guerre fatte loro da’ Visconti. E quanto a questo ultimo caso io giudicherò sempre che chi ha la guerra in casa, se ha opportunitá nel tempo medesimo di cominciarla in quello dello inimico, lo