Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. I, 1929 – BEIC 1845433.djvu/237

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libro terzo — cap. iv 231

sceva questi disegni e speranze fallaci la persuasione, nella quale poco ricordandosi della varietá delle cose umane si nutriva da se stesso, d’avere quasi sotto i piedi la fortuna, della quale affermava publicamente essere figliuolo: tanto era invanito de’ prosperi successi, ed enfiato che per opera e per i consigli suoi fusse passato il re di Francia in Italia, attribuendo a sé l’essere suto privato Piero de’ Medici, poco ossequente alla sua volontá, dello stato di Firenze, la ribellione de’ pisani da’ fiorentini, e l’essere stati cacciati del regno di Napoli gli Aragonesi suoi inimici; e che poi, avendo mutata sentenza, fusse per i consigli e autoritá sua proceduta la congiunzione di tanti potentati contro a Carlo, la ritornata di Ferdinando nel regno di Napoli, e la partita del re di Francia d’Italia con condizioni indegne di tanta grandezza; e che insino nel capitano che aveva in custodia la cittadella di Pisa avesse potuto piú la sua o industria o autoritá che la volontá e i comandamenti del proprio re. Con le quali regole misurando il futuro, e giudicando la prudenza e lo ingegno di tutti gli altri essere molto inferiore alla prudenza e ingegno suo, si prometteva d’avere a indirizzare sempre ad arbitrio suo le cose d’Italia e di potere con la sua industria circonvenire ciascuno: la quale vana impressione non dissimulandosi né per lui né per i suoi, né con parole né con dimostrazioni, anzi essendogli grato che cosí fusse creduto e detto da tutti, risonava Milano il dí e la notte di voci vane, e si celebrava per ciascuno, con versi latini e volgari e con publiche orazioni e adulazioni, la sapienza ammirabile di Lodovico Sforza, dalla quale dependeva la pace e la guerra d’Italia; esaltando insino al cielo il nome suo e il cognome del Moro: il quale cognome, impostogli insino da gioventú, perché era di colore bruno e per l’opinione che giá si divulgava della sua astuzia, ritenne volentieri mentre durò lo imperio suo.

Né fu minore l’autoritá del Moro nelle altre fortezze de’ fiorentini che fusse stata in quella di Pisa, parendo che ad arbitrio suo si governassino in Italia non meno gli inimici che gli amici. Perché se bene il re udite le querele gravissime