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libro primo — cap. vi 47

dienze degli Aragonesi, domandorono la investitura del regno di Napoli nella persona di Carlo, come giuridicamente dovutagli; proponendo molte speranze e facendo molte offerte quando fusse propizio a questa impresa, la quale non meno per le persuasioni e autoritá sua che per altra cagione era stata deliberata. Alla quale domanda rispose il pontefice che, essendo la investitura di quello reame conceduta da tanti suoi antecessori successivamente a tre re della casa di Aragona, perché nella investitura fatta a Ferdinando nominatamente si comprendeva Alfonso, non era conveniente concederla a Carlo, insino a tanto che per via di giustizia non fusse dichiarato che egli avesse migliori ragioni; alle quali la investitura fatta a Alfonso pregiudicato non avere, perché, per questa considerazione, vi era stato specificato che ella s’intendesse senza pregiudicio di persona. Ricordò il regno di Napoli essere di dominio diretto della sedia apostolica, l’autoritá della quale non si persuadeva che il re, contro allo instituto de’ suoi maggiori, che sempre ne erano stati precipui difensori, volesse violare, come violerebbe assaltandolo di fatto. Convenire piú alla sua degnitá e bontá, pretendendovi ragione, cercarla per via della giustizia, la quale, come signore del feudo e solo giudice di questa causa, si offeriva parato ad amministrargli; né dovere uno re cristianissimo ricercare altro da uno pontefice romano, l’ufficio del quale era proibire, non fomentare, le violenze e le guerre tra i príncipi cristiani. Dimostrò, quando bene volesse fare altrimenti, molte difficoltá e pericoli, per la vicinitá di Alfonso e de’ fiorentini, l’unione de’ quali seguitava tutta la Toscana, e per la dependenza dal re di tanti baroni, gli stati de’ quali insino in sulle porte di Roma si distendevano; e si sforzò nondimeno di non tagliare loro interamente la speranza, con tutto che in se medesimo di non partire dalla confederazione fatta con Alfonso determinato avesse.

A Firenze era grande la inclinazione inverso la casa di Francia, per il commercio di tanti fiorentini in quello reame, per l’opinione inveterata, benché falsa, che Carlo magno avesse riedificata quella cittá, distrutta da Totila re de’ goti; per la