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aveva mandato in Fiandra per levarlo molto navi. Però imbarcato con la moglie e con Ferdinando suo secondogenito, prese con venti prosperi il cammino di Spagna; i quali essendo, in capo di due dí della sua navigazione, convertiti in venti avversissimi, travagliata da grandissima fortuna l’armata sua, dopo lunga resistenza fatta al furore del mare, si disperse in varie parti della costa d’Inghilterra e di Brettagna: ed egli con due o tre legni fu con grandissimo pericolo traportato in Inghilterra, nel porto d’Antona: la quale cosa intesa da Enrico settimo re di quella isola, che era a Londra, mandato subito molti signori a riceverlo con grandissimo onore, lo ricercò venisse a Londra; il che in potestá di Filippo, che si trovava quasi solo e senza navi, non era di negare. Soprastette appresso a lui insino che l’armata si riducesse insieme e riordinasse; e in questo mezzo fra loro furno fatte nuove capitolazioni. E nondimeno Filippo trattato in tutte l’altre cose come re fu in una sola trattato da prigione, che ebbe a consentire di dare in mano a Enrico il duca di Sufforth tenuto da lui nella rocca di Namur; il quale, perché pretendeva ragione al regno d’Inghilterra, Enrico sommamente d’avere in sua potestá desiderava: dettegli però la fede di non privarlo della vita; donde, custodito in carcere mentre Enrico visse, fu dipoi, per comandamento del figliuolo, decapitato. Passò dipoi Filippo con navigazione piú felice in Ispagna; dove concorrendo a lui quasi tutti i signori, il suocero, il quale per non essere da sé potente a resistergli, e che non giudicava essere sicuro fondamento le promesse de’ franzesi, non aveva pensato mai ad altro che alla concordia, rimanendo abbandonato quasi da tutti, né avendo se non con molto tedio e difficoltá potuto avere il cospetto del genero, bisognò che cedesse alle condizioni che, sprezzato il primo accordo fatto tra loro, gli furono date: benché in questo non si procedé rigidamente, per la benignitá della natura di Filippo e molto piú per i conforti di coloro che si erano dimostrati acerbissimi inimici a Ferdinando, perché dubitando continuamente che egli, con la prudenza e con l’autoritá sua, non ripigliasse