Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. II, 1929 – BEIC 1846262.djvu/203

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libro settimo ‐ cap. vi 197

cito. E nondimeno la notte seguente, disperate le cose loro, ed essendo fama che i principali del popolo avevano composto occultamente col re insino quando era in Asti, lamentandosi la plebe di essere ingannata, il doge, con molti di quegli che per le cose commesse non speravano perdono e con quella parte de’ pisani che vi era, si partí per andare a Pisa; e la mattina come fu dí, tornati in campo i medesimi imbasciadori, acconsentirono di dare la cittá alla discrezione del re: non avendo sostenuta piú che otto dí la guerra, con grandissimo esempio della imperizia e confusione de’ popoli che, fondandosi in su speranze fallaci e disegni vani, feroci quando è lontano il pericolo, perduti poi presto d’animo quando il pericolo è vicino, non ritengono alcuna moderazione.

Fatto l’accordo, il re con l’esercito si accostò a Genova, alloggiati i fanti ne’ borghi; i quali non ebbe piccola difficoltá a ritenere, massimamente i svizzeri, che non vi entrassino per saccheggiarla. Entrò dipoi in Genova con la maggiore parte delle altre genti, avendo prima messa la guardia nel Castellaccio, Ciamonte; al quale i genovesi consegnorono tutte le armi publiche e private che furono condotte nel Castelletto, e tre pezzi di artiglieria quali vi avevano condotti i pisani; che furono poi mandate a Milano: e il dí prossimo, che fu il vigesimonono d’aprile, entrò in Genova la persona del re con tutte le genti d’arme e arcieri della guardia, ed egli appiedi sotto il baldacchino, armato tutto con l’armi bianche, con uno stocco nudo in mano. Al quale si feciono incontro gli anziani con molti de’ piú onorati cittadini; i quali essendosegli gittati innanzi a’ piedi con molte lagrime, uno di loro, poiché alquanto fu fatto silenzio, in nome di tutti parlò cosí:

— Noi potremmo affermare, cristianissimo e clementissimo re, che se bene al principio delle contenzioni co’ nostri gentiluomini intervenne quasi la maggiore parte de’ popolari, nondimeno che l’esercitarle insolentemente, e molto piú la contumacia e la inubbidienza a’ comandamenti regi, procedette solamente dalla feccia della infima plebe; la temeritá della quale né noi né gli altri cittadini e mercatanti e artefici onesti