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308 storia d'italia

da’ costumi degli italiani e disordinato maggiormente per le confusioni e danni della guerra, cominciavano a voltare gli occhi all’antico dominio: e per contrario, perdendosi Padova, perdevano i viniziani interamente la speranza di reintegrare lo splendore della sua republica; anzi era grandissimo pericolo che la cittá medesima di Vinegia, spogliata di tanto imperio e vota di molte ricchezze per la diminuzione delle entrate publiche e per la perdita di tanti beni che i privati possedevano in terra ferma, o non potesse difendersi dalle armi de’ príncipi confederati o almeno non diventasse, in progresso di tempo, preda non meno de’ turchi (co’ quali confinano per tanto spazio, e hanno sempre con loro o guerra o pace infedele e male sicura) che de’ príncipi cristiani.

Ma non era minore l’ambiguitá degli uomini: perché gli apparati potentissimi che da ciascuna delle parti si dimostravano tenevano molto sospesi i giudici comuni, incertissimi quale avesse ad avere effetto piú felice, o l’assalto o la difesa. Perché nell’esercito di Cesare, oltre alle settecento lancie del re di Francia le quali governava la Palissa, erano dugento uomini d’arme mandatigli in aiuto dal pontefice, dugento altri mandatigli dal duca di Ferrara sotto il cardinale da Esti, benché ancora non fussino composte le differenze tra loro, e sotto diversi condottieri secento uomini d’arme italiani soldati da lui. Né era minore il nerbo del peditato che de’ cavalli, perché aveva diciottomila tedeschi seimila spagnuoli seimila venturieri di diverse nazioni e duemila italiani menatigli e pagati dal cardinale da Esti nel medesimo nome. Seguitavalo apparato stupendo di artiglierie e copia grande di munizioni, della quale una parte gli avea mandata il re di Francia. E benché i soldati suoi propri la piú parte del tempo non ricevessino danari, nondimeno, per la grandezza e autoritá di tanto capitano, e per la speranza di pigliare e saccheggiare Padova e d’avere poi in preda tutto quello che ancora possedevano i viniziani, non per questo l’abbandonavano; anzi continuamente augumentava ogni dí il numero, sapendosi massime per ciascuno che egli, di natura liberalissimo e pieno di umanitá