Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. IV, 1929 – BEIC 1847812.djvu/189

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libro quintodecimodecimo - cap. ii 183

a’ franzesi, ma offenderebbe il re d’Inghilterra, al quale gli conviene, come ognuno sa, avere grandissimi rispetti; provocherebbesi contro tutti i popoli del ducato di Milano inclinatissimi a Francesco Sforza. Cosí, sottoponendosi a molte difficoltá e pericoli, e a grandissima infamia, contraverrebbe alla fede sua, la quale non si è insino a ora veduto segno alcuno che mai abbia disprezzata, cosa che non possiamo giá dire noi de’ franzesi; anzi, avendo restituito, dopo la morte del pontefice Leone, Francesco Sforza in quello stato, consegnatogli le fortezze secondo che successivamente si sono acquistate, e ultimamente, contro alla opinione di molti, il castello di Milano, non si può dire che non abbia fatto segni contrari. Perché adunque non dobbiamo fare piú presto quella deliberazione nella quale è speranza grande di conseguire lo intento nostro che quella che manifestamente tende a fine contrario a’ nostri bisogni? A questo si oppone che di maggiore pericolo sarebbe a questa republica che il ducato di Milano fusse in potestá di Cesare che se fusse in potestá del re di Francia; perché quel re, per la grandezza di Cesare e per la emulazione che ha con lui, arebbe quasi necessitá di perseverare nella nostra congiunzione, ma in Cesare tutto il contrario, per la potenza sua e per le ragioni che contro allo stato nostro pretendono egli e il fratello. Credo che chi cosí sente di Cesare non si inganni, per la natura e consuetudine de’ príncipi tanto grandi; volesse Dio non si ingannasse chi non sente il medesimo del re di Francia! Militavano nel suo antecessore molte delle medesime ragioni, e nondimeno potette piú la cupiditá, l’ambizione, che l’onestá, che l’utilitá propria. Senza che, non sono perpetue quelle cagioni che l’arebbono a conservare unito con noi, ma variabili, secondo la natura delle cose umane, di momento in momento: perché e Cesare è uomo mortale come gli altri uomini; è, secondo l’esempio di molti príncipi stati maggiori di lui, sottoposto a infiniti accidenti di fortuna. E quanto tempo è che, concitatagli contro tutta la Spagna, pareva piú presto degno di commiserazione che di invidia? E almeno non è tanta differenza dall’uno pericolo