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libro quintodecimodecimo - cap. viii 223

nel territorio del duca di Savoia, pareva avere trapassati gli oblighi della confederazione, per la quale non erano tenuti a altro che alla difesa del ducato di Milano. Procedevano i franzesi in battaglia bene ordinata con lento passo, avendo collocati nel retroguardo i svizzeri; da’ quali furno rimessi i primi cavalli e fanti che venendo disordinatamente gli assaltorno, essendo giá i franzesi discostati da Ravisingo circa due miglia. Ma sopravenendo il marchese di Pescara co’ cavalli leggieri si rinnovò la battaglia, non tale che fermasse il camminare de’ franzesi; de’ quali in questo ultimo congresso fu ammazzato Giovanni Cabaneo e fatto prigione monsignore di Baiardo, percosso da uno scoppietto, della quale ferita morí poco di poi. Parve al marchese, ancora che giá fussino sopravenuti molti soldati, non seguitare gli inimici piú oltre, perché non avea seco artiglierie né altro che una parte sola dell’esercito. Cosí, rimasti i franzesi senza molestia ritornorno, insieme co’ svizzeri, alle case loro; avendo lasciato a Bauri di lá da Ivrea quindici pezzi d’artiglieria alla custodia di trecento svizzeri e di uno de’ signori del paese: ma né queste si salvorno, perché i capitani di Cesare, avutane notizia, mandorno a prenderle. Divisonsi poi i vincitori in piú parti: a Lodi fu mandato il duca di Urbino, ad Alessandria il marchese di Pescara; le quali cittá sole si tenevano in nome del re, perché Novara, accostandovisi il duca di Milano e Giovanni de’ Medici, si era arrenduta: al viceré rimase la cura di andare incontro al marchese del Rotellino, il quale con quattrocento lancie aveva passato i monti: ma questo, intesa la partita dell’ammiraglio, ritornò subito in Francia. Né feciono resistenza alcuna Boisí e Giulio da San Severino preposti alla guardia di Alessandria. Similmente Federico, dimandato tempo di pochi dí per certificarsi se era vero che l’ammiraglio avesse passato i monti, convenne di lasciare Lodi; riservatasi facoltá, come eziandio era stato conceduto a quegli di Alessandria, di condurre in Francia i fanti italiani: i quali, in numero circa cinquemila (che tanti erano nell’una e l’altra cittá), furno poi alle cose del re di grandissimo giovamento.