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libro quintodecimodecimo - cap. xi 237

gli argini, che nel letto dove il fiume si divide si lavoravano per sforzarlo a volgersi nel ramo minore, ora sperando il re di superare con la possanza degli uomini e de’ danari la violenza del fiume. Finalmente l’esperienza dimostrò quel che quasi sempre apparisce che piú può la rapiditá del fiume che la fatica degli uomini o la industria de’ periti. Però il re, privato della speranza, della forza e delle opere, determinò di perseverare nell’assedio, colla lunghezza del quale sperava ridurre quegli di dentro in necessitá di arrendersi.


XI

Nuovi e inutili tentativi di concordia del pontefice: suoi accordi col re di Francia; nuove angustie e difficoltá di Cesare.

Ma mentre che queste cose si fanno e si preparano, il pontefice, poi che ebbe inteso il re avere occupato Milano, commosso dal principio tanto prospero e perciò desideroso di assicurare le cose proprie, mandò a lui Gianmatteo Giberto vescovo di Verona suo datario, uomo a sé confidentissimo ma né anche ingrato al re. Commessegli che prima andasse a Sonzino a confortare il viceré e gli altri capitani alla concordia, dimostrando dovere andare al re di Francia per la medesima cagione; i quali, giá cresciuti di speranza per la resistenza di Pavia, gli risposono ferocemente non volere prestare orecchie ad alcuna composizione per la quale il re avesse a ritenere un palmo di terra nel ducato di Milano. Simile e forse piú dura disposizione trovò nel re di Francia, enfiato per la grandezza dell’esercito e per la facoltá non solamente di sostentarlo ma di accrescerlo; col quale fondamento principalmente affermava essere passato in Italia e non per la speranza sola d’avere a prevenire gli inimici, benché dicesse e questo essergli in buona parte succeduto. Sperare al certo di ottenere Pavia, la quale tuttavia continuava di battere aspramente, per l’opere faceva