Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. IV, 1929 – BEIC 1847812.djvu/296

Da Wikisource.
290 storia d'italia

in potestá vostra il liberarlo: né doverrebbe la tarditá dargli ammirazione, perché, se io non mi inganno, è conscio a se medesimo quel che farebbe se Cesare fusse suo prigione. È stata certo cosa grandissima a pigliare il re di Francia, ma chi considererá bene la troverá senza comparazione maggiore a lasciarlo; né sará mai tenuto prudenza il fare una deliberazione di tanto momento senza lunghissime consulte e senza rivoltarsela infinite volte per la mente. Né sarei forse in questa sentenza se io mi persuadessi che il re, liberato al presente, riconoscesse tanto benefizio con la debita gratitudine; e che il papa e gli altri d’Italia deponessino insieme col sospetto la cupiditá e l’ambizione: ma chi non conosce quanto sia pericoloso fondare una risoluzione tanto importante in su uno presupposito tanto fallace e tanto incerto? anzi, chi considera bene la condizione e costumi degli uomini ha piú presto a giudicare il contrario, perché di sua natura niuna cosa è piú breve niuna ha vita minore che la memoria de’ benefici; e quanto sono maggiori tanto piú, come è in proverbio, si pagano con la ingratitudine: perché chi non può o non vuole scancellargli con la remunerazione, cerca spesso di scancellargli o col dimenticarsegli o col persuadere a se medesimo che e’ non sieno stati sí grandi; e quegli che si vergognano di essersi ridotti in luogo che abbino avuto bisogno del benefizio si sdegnano ancora di averlo ricevuto, in modo che può piú in loro l’odio, per la memoria della necessitá nella quale sono caduti, che l’obligazione per la considerazione della benignitá che a loro è stata usata. Dipoi, di chi è piú naturale la insolenza piú propria la leggerezza, che de’ franzesi? dove è la insolenza è la cecitá; dove è la leggerezza non è cognizione di virtú, non giudizio di discernere le azioni d’altri, non gravitá da misurare quello che convenga a se stesso. Che adunque si può sperare di uno re di Francia, enfiato di tanto fasto quanto ne può capere in uno re de’ franzesi, se non che arda di sdegno e di rabbia di essere prigione di Cesare, nel tempo che e’ pensava di avere a trionfare di lui? sempre gli sará innanzi agli occhi la memoria di questa infamia né, liberato,