Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. IV, 1929 – BEIC 1847812.djvu/307

Da Wikisource.

libro sestodecimo - cap. vii 301

parando alla oppressione d’Italia. Davano queste cose sospezione e molestia di animo quasi incredibile al pontefice, ma molto maggiore il parergli non essere da queste operazioni diversa la mente di Cesare. Il quale, avendo mandato al pontefice le lettere della ratificazione della confederazione fatta in suo nome dal viceré, differiva di ratificare i tre articoli stipulati separatamente dalla capitolazione, allegando che quanto alla restituzione delle terre tenute dal duca di Ferrara non aveva facoltá di pregiudicare alle ragioni dello imperio, né sforzare quel duca che asseriva tenerle in feudo dallo imperio; e però offeriva che questa differenza si trattasse per via di giustizia o di amicabile composizione: e si intendeva che il desiderio suo sarebbe stato che le restassino al duca sotto la investitura sua, per la quale gli pagasse centomila ducati, pagandone anche al pontefice centomila altri per la investitura di Ferrara e per la pena apposta nel contratto che aveva fatto con Adriano. Allegava essere stato impertinente convenire co’ ministri suoi sopra il dare i sali al ducato di Milano, perché il dominio utile di quel ducato, per la investitura concessa benché non ancora consegnata, apparteneva a Francesco Sforza; e però, che il viceré non si era obligato semplicemente, nello articolo, a farlo obligare a pigliargli ma a curare che e’ consentisse; la quale promessa, per contenere il fatto del terzo, era notoriamente, quanto allo effetto dello obligare o sé o altri, invalida; e nondimeno, che per desiderio di gratificare al pontefice arebbe procurato di farvi consentire il duca, se non fusse fatto e interesse non piú suo ma alieno, perché giá il duca di Milano, in ricompenso degli aiuti avuti dallo arciduca, aveva convenuto di pigliare i sali da lui: e pure che si interporrebbe perché il fratello, ricevendo ricompenso onesto di danari, consentisse, non in perpetuo, come diceva l’articolo, ma durante la vita del pontefice. Né ammetteva anche l’articolo delle cose beneficiali, se con quello che si esprimeva nelle investiture non si congiugneva quel che fusse stato osservato dai re suoi antecessori. Per queste difficoltá recusò il pontefice di accettare le lettere della ratificazione e di mandare