Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. IV, 1929 – BEIC 1847812.djvu/313

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libro sestodecimo - cap. viii 307

e il marchese era sdegnato per la poca estimazione che aveva fatta di lui il viceré, ma ancora male contento di Cesare, dal quale gli pareva che e’ non fussino riconosciuti quanto si conveniva i meriti suoi e l’opere egregie fatte da lui in tutte le prossime guerre, e specialmente nella giornata di Pavia, della vittoria della quale aveva il marchese solo conseguito piú gloria che tutti gli altri capitani: e nondimeno era paruto che Cesare, con molte laudi e dimostrazioni, l’avesse riconosciuta assai dal viceré. Il che non potendo tollerare scrisse a Cesare lettere contumeliosissime contro al viceré lamentandosi di essere stato immeritamente tanto disprezzato da lui che non l’avesse giudicato degno di essere almeno conscio di una tale deliberazione; e che se nella guerra e ne’ pericoli avesse riferito al consiglio e arbitrio proprio la deliberazione delle cose non solo non sarebbe stato preso il re di Francia ma, subito che fu perduto Milano, lo esercito cesareo, abbandonata la difesa di Lombardia, si sarebbe ritirato a Napoli. Essere il viceré andato a trionfare di una vittoria nella quale era notissimo a tutto l’esercito che esso non aveva parte alcuna, e che essendo nell’ardore della giornata restato senza animo e senza consiglio, molti gli avevano udito dire piú volte: — noi siamo perduti; — il che quando negasse si offeriva parato a provargliene, secondo le leggi militari, con l’arme in mano. Accresceva la mala contentezza del marchese che avendo, subito dopo la vittoria, mandato a pigliare la possessione di Carpi, con intenzione di ottenere quella terra per sé da Cesare, non era ammesso questo suo desiderio; perché Cesare, avendola conceduta due anni innanzi a Prospero Colonna, affermava che benché mai ne avesse avuta la investitura, volere, in beneficio di Vespasiano suo figliuolo, conservare alla memoria di Prospero morto quella remunerazione che aveva fatto alla virtú e opere di lui vivo: la quale ragione ancora che fusse giusta e grata, e al marchese dovessino piacere gli esempli di gratitudine se non per altro perché gli accrescevano la speranza che avessino a essere remunerate tante sue opere, non era nondimanco accettata da lui; il quale, come sentiva molto di se medesimo,