Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. IV, 1929 – BEIC 1847812.djvu/327

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libro sestodecimo - cap. x 321

sua, il padrone aveva fatto in suo nome, senza saputa sua, molte espedizioni che gli potrebbono essere di carico, se con questo mezzo non giustificasse la innocenza sua; e che le pratiche del Morone erano diverse e separate dalle pratiche sue. Lo effetto fu che, dopo molte repliche e protesti fatti da l’uno a l’altro per scrittura, il marchese costrinse il popolo di Milano a giurare fedeltá allo imperadore contro alla volontá sua, e con incredibile dispiacere di tutti messe per tutto lo stato officiali in nome di Cesare, e cominciò con le trincee a serrare il castello di Cremona e quello di Milano; nel quale il duca, con grandissimi conforti e speranze di soccorso dategli dal pontefice e da’ viniziani, era risoluto di fermarsi, avendovi seco ottocento fanti eletti, e messevi quelle vettovaglie che comportò la brevitá del tempo. Né mancò di impedire, quanto potette, con l’artiglierie che e’ non si lavorasse alle trincee; le quali si lavoravano dalla parte di fuora, col fosso piú lontano dal castello che non aveva fatto Prospero Colonna. Spaventò, e ragionevolmente, l’occupazione del ducato di Milano Italia tutta; la quale conosceva andarne in manifesta servitú ogni volta che Cesare fusse padrone di Milano e di Napoli; e sopra tutti afflisse il pontefice, vedendo scoperte quelle pratiche con le quali aveva trattato non solo di assicurare Milano ma ancora di distruggere l’esercito di Cesare e torgli il regno di Napoli. Al marchese di Pescara conciliò forse grazia appresso a Cesare, ma nel cospetto di tutti gli altri eterna infamia; non solo perché restò nella opinione della maggiore parte che da principio avesse avuto intenzione di mancare a Cesare, ma ancora perché, quando gli fusse stato sempre fedele, parve cosa di grande infamia che avesse dato animo agli uomini, e allettatigli con tanta arte e con tante fraudi a fare pratiche seco, per avere occasione di manifestargli, e farsi grande de’ peccati d’altri procurati con le lusinghe e con l’arti sue.

Difficultò questa innovazione la speranza della concordia la quale si trattava per il protonotario Caracciolo col senato viniziano, ridotta giá in termini che pareva propinqua alla