Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. IV, 1929 – BEIC 1847812.djvu/351

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libro sestodecimo - cap. xiv 345

che sará sottoposta a questo accidente e forse ad altri non minori né manco facili. Non sappiamo noi che nessuna cosa ha tanto tenuto fermo il governo di Francia quanto opinione della sua presta liberazione? per la quale i grandi di quel regno sono stati quieti e ubbidienti alla madre: come questa speranza mancasse, sarebbe facile cosa che il regno si risenta, e alteri il governo; e quando i grandi ne avessino la briglia in mano non sará in loro cura alcuna di liberare il re, anzi, per mantenersi sciolti e padroni, aranno piacere della sua cattivitá. Cosí, in cambio della Borgogna e di tanti acquisti, non potremmo piú sperare né della sua prigione né della sua liberazione. Ma io dimando piú oltre, cancelliere: ha Cesare, in questa deliberazione, a tenere conto alcuno della dignitá e maestá sua? e che maggiore infamia può egli avere, che piú diminuzione di onore, che essere costretto a perdonare a Francesco Sforza? che uno uomo mezzo morto, rebelle vostro, esempio singolare di ingratitudine, non con l’umiliarsi e fuggire alla vostra misericordia ma col gettarsi in braccio agli inimici vostri, vi sforzi a cedergli a restituirgli lo stato, sí giustamente toltogli, a pigliare le leggi da lui? Meglio è, Cesare, e piú conviene alla dignitá dello imperio, alla vostra grandezza, sottoporsi di nuovo alla fortuna, mettere di nuovo ogni cosa in pericolo, che, dimenticatovi il grado vostro, l’autoritá di principe supremo di tutti i príncipi e il nome cesareo, e vincitore tante volte d’un potentissimo re, accettare da preti e da mercatanti quelle condizioni che, se voi fussi stato vinto, né piú gravi né piú indegne vi sarebbono state poste. Però, considerando io tutte queste ragioni, e quanto sia piccola l’utilitá che ci può risultare dello accordo con gl’italiani e per quanti accidenti ci possa facilmente uscire di mano, e quanto sia poco sicuro il fidarsi di loro, e di quanta indignitá sia pieno il lasciare lo stato di Milano, e che a noi è necessario risolversi e avere una volta considerazione del fine, e che la carcere del re non ci dá utilitá se non per i frutti che si possono trarre della liberazione, ho confortato e conforto l’accordare prima con lui che con gli italiani; che