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libro decimosettimo - cap. xvii 99

quali era il cardinale, Cepperano, che non era guardato, e le genti loro sparse per le castella di Campagna; e da altro canto Vitello, con le genti del pontefice, ridotto fra Tivoli, Palestrina e Velletri. Presono poi Pontecorvo, non guardato, e Ascanio poi dette la battaglia invano a Scarpa, castello della badia di Farfa, luogo piccolo e debole: ed egli e il cardinale con quattromila fanti correvano per Campagna, ma ributtati da qualunque voleva difendersi. Accostossi dipoi Cesare Filettino con mille cinquecento fanti, di notte, ad Alagnia; nella quale intromessi giá furtivamente da alcuni uomini della terra cinquecento fanti, per una casa congiunta alle mura, furono ributtati da Gianlione da Fano, capo de’ fanti che vi aveva il pontefice. Tornò poi il generale dal viceré, e riportò che egli consentirebbe alla tregua per qualche mese, acciò che intratanto si trattasse la pace, ma dimandare denari e, per sicurtá, le fortezze di Ostia e di Civitavecchia. Ma in contrario di lui scrisse l’arcivescovo di Capua (giunto a Gaeta dopo la partita sua, e forse mandatovi con malo consiglio dal pontefice) che il viceré non voleva, piú tregua ma pace col pontefice solo o con il pontefice e co’ viniziani, pagandogli denari per mantenere lo esercito per sicurtá della pace, e poi trattare tregua con gli altri: o perché veramente avesse mutato sentenza o per le persuasioni, come molti dubitorono, dello arcivescovo.

Nel quale tempo Paolo da Arezzo, arrivato alla corte di Cesare co’ mandati del pontefice, de’ viniziani e di Francesco Sforza (dove anche il re di Inghilterra volle che per la medesima causa della pace andasse l’auditore della camera, perché vi era anche prima il mandato del re di Francia), lo trovò variato di animo, per avere avuto avviso della arrivata de’ tedeschi e dell’armata in Italia. Però, partendosi dalle condizioni ragionate prima, dimandava che il re di Francia osservasse in tutto l’accordo di Madril, e che la causa di Francesco Sforza si vedesse per giustizia da i giudici deputati da lui. Cosí la intenzione di Cesare riceveva variazione dai successi delle cose; e le commissioni date lui a’ ministri suoi che