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erano in Italia avevano, per la distanza del luogo, o espressa o tacita condizione di governarsi secondo la varietá de’ tempi e delle occasioni. Però il viceré, avendo deluso piú dí con pratiche vane il pontefice, né voluto consentire una sospensione d’armi per pochi dí, tanto si vedesse l’esito di questo trattato, partí, a’ venti, da Napoli per andare alla volta dello stato della Chiesa, proponendo nuove condizioni estravaganti dello accordo. Seguitò, l’ultimo dí dell’anno, la capitolazione del duca di Ferrara, fatta per mezzo di uno oratore suo, col viceré e con don Ugo, che aveva il mandato da Cesare; benché con poca sodisfazione di quello oratore, astretto quasi con minacce e con acerbe parole dal viceré di consentire: che il duca di Ferrara fusse obligato con la persona e con lo stato contro a ogni inimico di Cesare; fusse capitano generale di Cesare in Italia con condotta di cento uomini d’arme e di dugento cavalli leggieri, ma obligato a mettergli insieme co’ danari propri, i quali gli avessino a essere o restituiti o accettati ne’ conti suoi: che per la dota della figliuola naturale di Cesare, promessa al figliuolo, ricevesse di presente la terra di Carpi e la fortezza di Novi, appartenente giá ad Alberto Pio, ma che le entrate, insino alla consumazione del matrimonio, si compensassino con gli stipendi suoi; e che Vespasiano Colonna e il marchese del Guasto rinunziassino alle ragioni vi pretendevano: pagasse, recuperato che avesse Modona, dugentomila ducati, ma che in questi si computassino quegli che dopo la giornata di Pavia aveva pagati al viceré; ma non recuperando Modona gli fussino restituiti tutti i denari che prima aveva sborsato: fusse Cesare obligato alla sua protezione, né potesse fare pace senza comprendervi dentro lui, con l’assoluzione delle censure e delle pene incorse poi che si era declarato confederato di Cesare; e delle incorse innanzi, fare ogni opera per fargliene consentire. Cosí, nella fine dell’anno mille cinquecento ventisei, tutte le cose si preparavano a manifesta guerra.